Miglior
cantautore italiano della sua generazione, Vinicio Capossela
racconta di guitti e vicoli chiassosi, pagliacci e marajà,
notti insonni e corvi torvi. Ama pseudonimi bizzarri, come
Vic Damone. E con le sue "Canzoni a manovella"
ha conquistato la critica. Nel 2006, dopo sei anni di silenzio,
è tornato con "Ovunque proteggi", nel segno
di una debordante follia creativa. Ritratto dell'istrionico
protagonista della musica d'autore italiana.
Ironico,
sentimentale, straripante nel suo istrionismo, Vinicio Capossela
è il più dotato tra i cantautori italiani
della sua generazione. I suoi modelli più evidenti
sono i blues aspri e deliranti di Tom Waits e le "chanson"
jazzy di Paolo Conte. Ma nel suo repertorio convivono anche
il teatro di Brecht e il surrealismo, melodie mediterranee
e sonorità fragorose di chiara matrice balcanica,
pantomime circensi e atmosfere crepuscolari che spaziano
dalle tradizioni rebetiche al miglior Luigi Tenco.
Artista errante, che - come Waits - ha fatto del randagismo
quasi una filosofia di vita, Capossela ha percorso tutte
le tappe di una gavetta dura, da "emigrante".
Nato infatti il 14 dicembre 1965 a Hannover (Germania),
approda poco piu' che ventenne in Italia, dove si divide
tra il lavoro di parcheggiatore e gli studi al conservatorio.
Ben presto lascia gli studi e si trasferisce a New York
dove suona nei pub e nei night-club.
E'
grazie all'incontro con Francesco Guccini e Renzo Fantini
(poi suo produttore) che riesce a pubblicare il suo primo
lavoro, All'una e trentacinque circa, un album che mette
gia' in luce la peculiarita' del suo sound e che gli vale
il premio Tenco come migliore opera prima.
Nonostante ciò, il successo tarda ad arrivare.
Nel
1991 esce Modì uno fra i migliori album della sua
carriera, come la title track, "Ultimo amore",
"Cadillac" e "Notti Newyorkesi", oltre
alla piu' orecchiabile "...e allora mambo!". Canzoni
che sembrano uscite da qualche fumoso piano-bar di provincia,
intrise di sentimenti, poesia e humour.
Nel
1994 è dunque invitato a partecipare al Festival
di Sanremo tra i Big con "Il mare calmo della sera",
e si aggiudica un punteggio record. Il suo primo album (che
porta il titolo della canzone) è la conferma di una
popolarità in rapida crescita: in poche settimane
ottiene il primo disco di platino. Torna a Sanremo l'anno
successivo con "Con te partirò", che viene
inserita nell'album "Bocelli" e che in Italia
ottiene un doppio disco di platino.
Affascinato dal mondo del cinema, Capossela nel 1992 si
cimenta in una piccola parte nel film "Non chiamatemi
Oscar", di Staino e Altan, la cui colonna sonora e'
tratta dallo stesso "Modi'". Nel 1993 firma le
musiche dello spettacolo teatrale di Paolo Rossi, "Pop
e Rebelot". Nello stesso anno partecipa al disco tributo,
organizzato dal Club Tenco, e dedicato al grande chansonnier
russo Vladimir Visotski, intitolato "Il volo di Volodja",
con il brano "Il pugile sentimentale", destinato
a diventare uno dei capisaldi del suo repertorio, in forza
di una irresistibile combinazione tra struggente melodismo
russo e ritmi contagiosi da brass-band.
L'anno
della prima consacrazione e' il 1994 quando Capossela pubblica
Camera a sud, trascinato dalla struggente ballata della title
track e dal singolo "Che coss'e' l'amor", una metafora
amara e dissacrante sull'amore e su tutti i suoi risvolti.
La sua musica vive d'euforiche contaminazioni, tra swing e
mambo, tango e twist, marce e ballate. Ma i ritmi originali
sono sempre stravolti e rielaborati, nel segno delle contaminazioni
piu' trascersali e dell'ironia più dissacrante. Spiccano
nel disco anche brani intensi e malinconici come "Non
è l'amore che va via" e "Camminante".
La
fama del cantautore di Hannover comincia a superare
i confini italiani. A Parigi, nel 1995, tiene un memorabile
concerto allo Zenit. Il quarto album, Il ballo di San
Vito (1996), consolida il suo repertorio, accentuando
l'attenzione per le tradizioni della canzone popolare
italiana e mediterranee in genere.La melodia lascia
spazio a toni aspri e dissonanti, ma soprattutto al
ritmo, vero protagonista dell'album. In un clima di
sagra paesana, tra balli e canti di antiche contrade,
si ambienta anche la title track: una pulsazione ossessiva
che si trasmette a tutto il corpo, in un magistrale
connubio di musica, modulazione della voce e testi,
che si fondono e trasmettono la vibrazione della tarantola:
e' il "Ballo di San Vito", nome volgare (non
scientifico) attribuito a una malattia dagli effetti
contagiosi. Capossela si conferma cantore delle storie
di vita comune, di giornate "senza pretese"
(per dirla con il titolo di un brano del suo primo album),
di giovani di periferia, di racconti in bilico tra dramma
e ironia.
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"Al
Veglione" e' un delizioso quadretto di una
festa di capodanno in un piccolo paese del sud Italia,
rimasto nella memoria di un bambino e rappresentato
come fosse un'istantanea da un film di Fellini;
l'inesorabile "Pioggia di Novembre" distilla
umori mesti e malinconici, mentre "Contrada
Chiavicone" e' un'altra pantomima paesana,
sorretta da un ritmo sempre piu' nervoso e incalzante.
L'album, che vanta un super-ospite come Marc Ribot
alla chitarra, e' il piu' vicino alla "world-music"
dell'intero repertorio di Capossela."I suoni
fanno da sfondo al mio mondo immaginario - racconta
il cantautore -. Un mondo pieno di guai, affollato
di guitti stralunati, strade chiassose e vecchie
macchine". |
Con
le quattro ruote, Capossela ha un rapporto intimo, nato
negli anni in cui vagabondava lasciando come indirizzo
il numero di targa e rifugiandosi in officine, pompe
di benzina e, soprattutto, nella sua auto. "La
macchina e' il nostro transatlantico/ confortevole e
familiare.../ e' la nostra protesi", canta in "Liveinvolvo",
title-track del suo primo disco dal vivo.
Liveinvolvo nasce da una notte di musica e follie. "E'
stata una serata memorabile - racconta Capossela - tanto
che il giorno dopo nessuno riusciva piu' a ricordarla.
E' durata cinque ore: alla fine i netturbini avranno
pensato di sognare vedendo uscire, nel cuore della notte,
un corteo strombazzante con alla testa un cantante in
colbacco". Ma l'album segna anche un'ulteriore
crescita di questo "guitto al pianoforte"
che si fa chiamare Vic Damone e che sembra quasi la
caricatura di un cantante di piano-bar. La sua musica
si fa piu' febbrile e complessa, tra ballate liquide
al piano (la cover di "Estate" di Bruno Martino),
blues sporchi e pieni di clangori nello stile di Tom
Waits e cupe progressioni sonore ("L'accolita dei
rancorosi"). La sua voce e' sempre carica, ruvida
come una grattugia. Ma la vera sorpresa e' la fanfara
di ottoni della macedone , che anima cinque brani. "Amo
lo spirito balcanico, chiassoso e sognatore", sostiene
Capossela. La presenza della gypsy brass-band balcanica
aggiunge un ulteriore tocco di fragore e demenzialità
ai suoi brani. Una formula riproposta in un nuovo ubriacante
tour, che frutta al cantautore nuovi consensi di pubblico
e critica.
Capossela trascorre i successivi due anni tra vicoli e
bar di provincia, tra le storie semplici della vita comune
e le grandi avventure musicali, come l'incontro con la
musica di Jimmy Scott. Una maturazione artistica che giunge
a compimento nel 2000, con Canzoni a manovella. Polke,
marcette, palombari e marajà si inseguono in una
sorta di teatro della strada, dove, tra un giro di valzer
e un sogno, si viaggia tra Lubecca, Varsavia e Salonicco.
"E' un disco di canzoni immaginarie - spiega Capossela
- di cose che vengono dal profondo, che affiorano in scafandro
e cilindro, un lavoro fabbricato con mezzi espressivi
come le tecniche aerostatiche di cui vado molto fiero.
In sostanza abbiamo usato una strumentazione composta
di grancasse, orchestra sinfonica, piani chiodati, rullo,
trombe, turbanti, sollevatori bulgari. Ma tutto ciò
che veramente conta è che ci siamo ingozzati di
emozioni, di suggestioni e di musiche, una specie di abbuffata
secolare, questo è in definitiva il risultato".
Ed ecco allora filastrocche, marcette, tanghi, ninnananne
e ritmi popolari dal sapore antico, che ricordano le cadenze
dei vecchi organetti a manovella, rincorrersi in un disco
senza tempo, pieno di istantanee in bianco e nero, come
quella in copertina. L'epoca della manovella comporta
rumore e sperimentazioni sui binari di una ferrovia senza
fissa dimora. E Capossela affronta gli abissi delle proprie
abitudini, camuffando suoni, rovistando ritmi balcanici,
ricordando le allegorie marziali di Kurt Weill. In principio
era la manovella, l'innescamotore, ma anche la necessaria
carica di aggeggi ambulanti che bruciano l'aria di melodie
familiari. Le partiture si riempiono cosi' di bottigliofoni,
fisarmoniche giocattolo, cineserie, coperchi, rotoplani,
rulli di Edison, intrusioni della porta accanto, sberleffi
timbrici tra il circo e l'osteria.
Quello
di Capossela è un randagismo musicale, che si
nutre di visioni surreali e di personaggi balzani. Il
divertissement esotico di "Maraja" ("si
scompiscia, si sganascia, si oscureggia il Maraja")
trasforma le "Mille e una notte" in un film
di Kusturica; il viatico dei "Pagliacci",
improbabili domatori di pulci, coglie i riflessi chapliniani
delle luci della ribalta (non a caso lo scorso anno
Capossela si e' cimentato proprio nell'accompagnamento
per pianoforte di "Tempi moderni"); "Contratto
per Karelias", adattamento di una canzone del greco
Markos Vamvakarias, riconduce ad atmosfere tzigane e
circensi; mentre "Suona Rosamunda" rievoca
visioni felliniane. Ma c'e' spazio anche per il Capossela
piu' romantico e intimista, quello che intona la dichiarazione
d'amore a ritmo di tango di "Come una rosa",
il lamento struggente di "Solo mia", o il
requiem sommesso di "Marcia del camposanto".
Vinicio l'acrobata gioca a fare il saltimbanco, il clown,
il guitto, ma si diverte a piazzare qua e là
le sue citazioni letterarie preferite: l'iniziale "Bardamu'"
è ispirata a Céline, "Suona Rosamunda"
a "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, "Decervellamento"
all'"Ubu Re" di Alfred Jarry, mentre lo spirito
irridente di John Fante aleggia sull'intera opera. La
musica delle "canzoni a manovella" riesce
a fondere la malinconia di Luigi Tenco con l'ironia
di Paolo Conte, le sonorita' roboanti dei Balcani con
il randagismo alcolico di Tom Waits. Il tutto grazie
anche a testi decisamente superiori alla media. Una
nuova conferma, insomma, del talento istrionico del
cantautore italiano, attorniato nell'occasione da una
pattuglia di musicisti in vena: ritroviamo Mark Ribot,
ma ci sono anche Ares Tavolazzi, Pascal Comelade, Roy
Paci dei Mau Mau e il soprano giapponese Mayumi Torikoshi.
Un disco dedicato "ai pionieri aerostatici, ai
temerari, ai marinai in bottiglia, a Céline,
al revolver di Jarry e in generale a tutti quelli che
hanno avuto il coraggio di buttarsi". Ma non solo.
"E' un album dedicato a tutti gli oggetti in via
d'estinzione, - continua l'autore - come i Pianoforti
di Lubecca, a molti di quei saloni che patiscono il
silenzio di milioni di canzoni.
E c'è posto per tutti, anche per quelli che
se ne sono andati, per i luoghi che hanno già
chiuso". Capossela ha varcato i confini, andando
a cercare le musiche rebetiche, le polke di Varsavia,
immergendosi in un mondo molto lontano da noi, per
tradizione e per cultura. Ed è in questo
mondo che prendono a vivere i suoi personaggi. "Nel
'Ballo di San Vito' avevo voluto e cercato suoni
più sporchi - aggiunge - nel caso di 'Canzoni
a manovella', invece, abbiamo ripulito il tutto,
ci sono le marcette, rebetici, tempi binari, quelli
che hanno bisogno di due stampelle per avanzare,
quelli ternari da giro di valzer, il vecchio west,
le retrovie d'oriente, i canti tzigani, serenate,
tramvai, rose e ombrelli. |
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Ma tutto è perfettamente ballabile. Venite!,
Venite! affittate il salone per le feste, vestitevi
eleganti, mettete i vostri abiti da sera, lucidate i
bottoni e le mostrine, perché l'orchestra ce
l'abbiamo messa noi, ed e' a vostra disposizione. Per
questa festa, insomma non abbiamo badato a spese".
Nel
2003 esce la prima raccolta di Vinicio Capossela, intitolata
L'Indispensabile. Un'iniziativa che il cantautore di
Hannover ha mal digerito: "Motivi oscuri governano
le costellazioni discografiche - ha dichiarato - io
ho detto alla mia che avevo tre cd pronti, ma loro mi
hanno risposto che era meglio far prima un riassunto
del passato... Quando in seno alla casa discografica
è nata l'esigenza di questa pubblicazione, non
l'ho presa per niente bene, ho iniziato a toccarmi e
fare scongiuri, insomma, la sentivo un po' prematura,
ma alla fine me ne sono fatto una ragione, e, se proprio
un'antologia deve uscire, mi sono detto, meglio che
sia da vivi...». Tra le 18 tracce, classici come
"Il ballo di San Vito", "Marajà",
"Che cossè l'amor", "E alllora
mambo", "All'una e trentacinque circa",
"Con una rosa", "Modì", "Scivola
vai via", più l'inedito "Si è
spento il sole", cover Calexico di un pezzo inciso
nel 1958 da un giovanissimo Adriano Celentano.
Nel 2006 esce Ovunque proteggi, primo album di inediti
in sei anni. Per celebrare l'evento, il quarantenne
italiano di Hannover ha voluto passare anche in cabina
di produzione e si è circondato di un supercast,
con musicisti come Mario Brunello (violoncello), Roy
Paci (tromba), Marc Ribot (chitarre), Stefano Nanni
(piano), Ares Tavolazzi (ex-Area) al contrabbasso e
Gak Sato all'elettronica.
Il circo di mastro Vinicio, dunque, riapre i battenti,
e lo fa "Dalla parte di Spessotto" (niente
a che vedere con terzini della Juve, bensì un
inno all'infanzia vissuta da "loser"). Titolo
bizzarro per un singolo che rinnova il motteggiare farsesco
di "Canzoni a manovella", con un testo - tanto
per cambiare - esilarante.
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Capossela
gigioneggia da par suo tra ritmi saltellanti e divertissement
vari. Sembra quasi un'altra "canzone a manovella",
ma affiorano anche i primi foschi presagi ("L'oscurità/
come un gendarme già/mi afferra l'anima")
di ciò che seguirà. All'euforico affresco
futurista di inizio Novecento delle "Canzoni
a manovella", succede infatti un viaggio oscuro
e minaccioso, tra incubi e intemperie. Fin dalla
terminologia usata è evidente il contrasto
tra la dimensione fisica, corporea (sangue, carne,
teste, mascellate, ossa, cosce, budella, cervella...),
e uno slancio mistico (anime, benedizioni, crocefissi,
sudari, rosari...) inedito nel canzoniere caposseliano. |
Le tredici tracce sono a loro volta un pellegrinaggio
nello spazio-tempo, tra luoghi mitici (Troia, il Colosseo
degli antichi romani) e reali (la Mosca post-socialista,
l'Asia di "Lanterne Rosse"). Un percorso affannoso
in cerca di requie e protezione, come traspare dal titolo
stesso dell'album.
Si parte con "Non trattare", nenia arabeggiante
che lambisce certo misticismo delirante alla Ferretti
(la fonte è un salmo dalle Scritture), prima
di sprofondare subito nel baratro di quella "Brucia
Troia" che Vinicio voleva come singolo perché
"avrebbe spopolato nei programmi di dediche radiofoniche"
(!) e che è invece un deliquio orrorifico sul
mito omerico, registrato nella Grotta Carsica di Ispinigoli
in Sardegna, insieme a Ribot e a tre tenori sardi. Altrettanto
truce è la rievocazione dei riti circensi romani
di "Al Colosseo" (un omaggio all' "In
The Colosseum" del maestro Waits, con il solito
declamare farneticante di Capossela su un tappeto di
trombette e rulli di tamburi alla "Ben Hur".
Tra le novità del disco, un uso più marcato
dell'elettronica portato in dote dal guru Gak Sato,
tangibile soprattutto in "Moskavalza", techno-souvenir
della metropoli russa, affogato in fiumi di vodka e
giocato su un divertente pastiche di assonanze testuali.
Non mancano, comunque, tuffi nel passato più
"godereccio" di Capossela, quello che vive
di cazzeggi cha-cha-cha come quello della "Medusa",
delle baldorie da festa paesana di "L'uomo vivo"
e di fastosi music-hall alla Broadway ("Nel blu").
E resta - oltre alla stella polare-Waits - il baffo
del Conte più jazzy a far capolino con la sua
orchestrina dixieland tra le note della nostalgica (e
deliziosa) "Dove siamo rimasti a terra Nutless".
Melodicamente
più povero di Canzoni a manovella, Ovunque proteggi
paga dazio soprattutto nelle ballate (il traditional
messicano di "Pena da l'alma", la pianistica
"Lanterne rosse" e la stessa title track finale),
calando un po' alla distanza dopo l'avvio pirotecnico.
Ma Capossela si è tenuto l'asso nella manica
e se lo gioca alla penultima traccia, con "S.S.
dei naufragati: climax drammatico dell'album, ispirato
al "Moby Dick" di Melville e alla "Ballata
del vecchio marinaio"di Coleridge (e già
inciso in un disco della Banda Ionica). Una litania
per violoncello, armonium, coro e theremin, che si leva
in cielo dalla stiva di un vascello sommerso dai flutti,
tra legni fradici e spiriti di morte.
Folle, disordinato, perfino sovraccarico di idee e di
suoni, Ovunque proteggi è l'album più
coraggioso che Vinicio Capossela potesse fare dopo il
botto di Canzoni a manovella. I passaggi a vuoto (che
pure non mancano) si possono perdonare al cospetto di
tanta creatività e intraprendenza.
di
Claudio Fabretti
www.ondarock.it
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