Antonio De Curtis,
decisamente più conosciuto come Totò, è
nato a Napoli, in via Santa Maria Antesaecula (rione Sanità),
al secondo piano del numero civico 109.
Sua madre, Anna Clemente, lo registra all'anagrafe come
Antonio Clemente e nel 1921 sposa il marchese Giuseppe De
Curtis che successivamente riconosce Antonio come suo figlio.
Nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi adotta Antonio
trasmettendogli i suoi titoli gentilizi. Solo a partire
dal 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto
a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: Antonio Griffo Focas
Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di
Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del
sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia
e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di
Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso,
conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
All'educazione di Antonio provvede
dunque la madre che, fra l'altro, è l'originaria
"inventrice" del nome Totò. E' lei, infatti,
che per chiamarlo più in fretta, gli affibbia il
celebre nomignolo. Quest'ultimo poi, rivelatosi particolarmente
vivace e pieno di vita, all’età di quattordici
anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso,
un pittore di appartamenti. L'amore per il teatro è
un'altra causa importante del suo abbandono scolastico.
Fra l'altro, nel collegio dove studiava venne colpito con
un ceffone
da un precettore, probabilmente esasperato dalla sua irrequietezza,
che gli deviò il setto nasale.
In seguito questo difetto determinò l'atrofizzazione
della parte sinistra del naso e quindi quella particolare
asimmetria che caratterizza il volto del comico in maniera
così inconfondibile.
Totò inizia dunque a recitare
giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia
proponendo al pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente
con poco entusiasmo.
A soli sedici anni ha l'amara impressione
che la sua passione non può avere sbocchi significativi,
e si arruola come volontario nell'esercito, in cui ben presto
si trova però a soffrire per le differenze gerarchiche
che quella carriera comporta. Con un escamotage riesce quindi
a farsi ricoverare evitando fra l'altro di finire in prima
linea allo scoppio della grande guerra. Da quanto racconta
la leggenda, sembra che sia stata proprio l'esperienza nell'esercito
a ispirargli il motto
"Siamo uomini o caporali?",
diventato celebre come simbolo della differenza tra i piccoli
individui pedantemente attaccati alle forme e chi usa l'elasticità
mentale e la capacità di comprendere.
Alla fine della guerra Totò
riprende la sua attività teatrale a Napoli, ancora
con poco successo ma, nel 1922, si trasferisce a Roma con
la famiglia. Qui riesce a farsi assumere nella compagnia
comica di Giuseppe Capece per poche lire. Ma quando chiede
un aumento della paga, Capece non apprezza la pretesa e
lo licenzia. Decide allora di presentarsi al Teatro Jovinelli
dove debutta recitando il repertorio di Gustavo De Marco.
E' il successo. In breve tempo i manifesti riportano il
suo nome a caratteri cubitali e fioccano le scritture nei
teatri più famosi come, solo per citarle alcuni,
il Teatro Umberto, il Triaton, il San Martino di Milano
o il Maffei di Torino.
La vera consacrazione, naturalmente,
avviene a Napoli, in particolare grazie agli spettacoli
della rivista "Messalina" (accanto a Titina
de Filippo). Intanto era anche nata la figlia
Liliana dall'unione con Diana Bandini Rogliani, che sposerà
nel 1935 (divorzierà quattro anni dopo in Ungheria,
ma vivranno comunque insieme fino al 1950). La forza di
Totò stava principalmente nel forte carisma, cosa
che lo differenziava notevolmente dagli altri attori. Nel
suo spettacolo Totò non si limitava a far ridere
le persone ma trascinava letteralmente il pubblico in un
vortice di battute e situazioni, entusiasmandolo fino al
delirio.
Inutile ricordare, poi, che il suo
volto rappresentava davvero una maschera unica, anche grazie
alla capacità di utilizzare quell'asimmetria che
caratterizzava il suo mento per sottolineare momenti comici.
Bisogna dire però che se il successo popolare fu
eccezionale ed indiscutibile, la stampa non gli ha mai risparmiato
critiche più o meno giustificate ma sicuramente contrassegnate
da un'eccessiva severità, dimostrando in questo di
non capire il suo genio comico fino in fondo (fu tacciato
spesso di buffoneria e di ripetere troppo spesso le stesse
battute).
Tuttavia per molti anni Totò
fu padrone del palcoscenico, recitando accanto ad attori
famosissimi quali Anna Magnani,
e i fratelli De Filippo,
in molte riviste di successo, continuando poi la sua carriera,
com'è fisiologico, anche nel mondo del cinema. Già
nel 1937 aveva debuttato nel cinema con
"Fermo con le mani" e fino al '67 interpretò
qualcosa come 97 film.
Fra i riconoscimenti ottenuti nella settima arte si possono
citare la Maschera d'argento (nel '47), cui fece seguito
nel 1951 il Nastro d'argento per l'interpretazione nel film
"Guardie e ladri" di Steno e Monicelli. Totò
ha scritto anche diverse canzoni, fra cui vi è annoverata
la celeberrima "Malafemmena".
Nel 1952 si innamora di Franca Baldini
cui resterà legato fino alla morte (dalla loro unione
nasce un bambino che purtroppo muore poche ore dopo). Nel
1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini "A
prescindere". Gli impegni della tournee
gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che
gli provoca una grave emorragia all'occhio destro, l'unico
da cui vedesse dopo il distacco della retina avvenuto per
l'altro occhio vent'anni prima.
Pubblica anche una raccolta di poesie
'A livella
, che fa seguito alla biografia
"Siamo uomini o caporali?" di alcuni anni prima.
Nel 1966 il sindacato Nazionale Giornalisti
Cinematografici gli assegna il secondo
"Nastro d'argento" per l’interpretazione
del film "Uccellacci
e uccellini", di
Pier Paolo Pasolini, un grande intellettuale
a cui si deve per certi versi lo "sdoganamento"
di Totò. Per questo film Totò ebbe anche una
menzione speciale al Festival di Cannes. Ormai quasi cieco,
partecipa al film "Capriccio all'italiana" in
due episodi: "Il mostro" e "Che cosa sono
le nuvole" (sempre di Pier Paolo Pasolini).
www.biografieonline.it