(Pachino,
Siracusa, 1907 - Torino, 1954)
Nato
da Rosario, avvocato con interessi letterari, e da Antonietta
Ciàvola, Vitaliano Brancati compie i propri studi a Catania
e si laurea in lettere nel ‘29, con una tesi su Federico
De Roberto.
Per alcuni anni, si dedica all’insegnamento e licenzia
opere (il poema drammatico “Fedor”, 1928; l’atto
unico “Everest”, 1931;
il dramma patriottico “Piave”, 1932) di irrilevante
valore artistico
e manifesti intenti di propaganda nazionalfascista.
Si trasferisce intanto a Roma, ove - grazie pure ai contatti
con Moravia ed - si allontana dalle
posizioni politiche favorevoli al regime, al punto da ripudiare
i suoi lavori precedenti.
Il nuovo corso artistico si apre con “Gli
anni perduti” (1938),
intriso di umori gogoliani e cechoviani:
ma è con “Don Giovanni in
Sicilia” (1941), che egli s’impone all’attenzione
della critica e del pubblico.
Attorno alla figura del quarantenne Giovanni Percolla, il Brancati
traccia un quadro pungente e serrato del “gallismo”
imperante in una città della Sicilia: e per il tramite
dell’inconcludenza smargiassa, delle immaginarie avventure
erotiche dei suoi giovani abitanti, egli allude maliziosamente
alle smanie di grandezza imperiale, al velleitarismo d’un
paese perduto nelle adunate oceaniche (“il fascismo vero
e proprio si configura agli occhi di Brancati come una sintesi
di autobiografia della nazione”, annotava acutamente Sciascia).
Il successivo
“Il bell’Antonio” (1949) va
vieppiù a fondo nella descrizione amara e risentita del
provincialismo fascista: la grottesca impotenza che affligge
il protagonista diviene metafora di come, per l’autore,
l’erotismo dei siciliani “consista nel pensare e
sognare la donna
con tale assiduità e intensità, e talmente assottigliandone
e sofisticandone il desiderio, da non reggere poi alla presenza
di lei, dall’esserne umiliati e come devastati”
(Sciascia).
E’ ancora un’ossessione sessuale al centro dell’incompiuto
ed ambizioso ultimo suo romanzo, “Paolo il caldo”
(1954); tra i racconti, spicca lo straordinario “Il vecchio
con gli stivali” (1944), acre satira del fascismo e dell’antifascismo
ufficiale, trasposta in celluloide da Luigi Zampa in “Anni
difficili” (1947).
L’ipocrita divieto di rappresentazione che colpisce il
migliore dei suoi lavori teatrali, “La governante”
(1952), incentrato su un caso di non accettata omosessualità
femminile, ispira all’autore il pamphlet “Ritorno
alla censura” (1952), ove egli rivendica la libertà
d’espressione dell’artista.
Della sua attività di sceneggiatore cinematografico,
meritano menzione almeno “La bella addormentata”
(1943) di Luigi Chiarini, “Silenzio, si gira!” (1944)
di Carlo Campogalliani,
il già citato “Anni difficili” cui fa seguito
- sempre per la regia di Zampa - “Anni facili” (1953),
“L’uomo la bestia e la virtù” (1954)
di Steno.
Francesco Troiano
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